Antonio De Bortoli, soprannominato “Il Barba” per la sua folta barba, è un patriota cattolico molto noto a Varese. Nasce nel Veneto, ma da giovane si trasferisce a Varese; lì lavora prima come riparatore di sedie, poi come restauratore di mobili e infine apre un mobilificio. Contrario alla dittatura, durante il periodo della Resistenza lotta con coraggio contro i nazifascisti, responsabili anche della morte di quattro membri della sua famiglia. Di quel periodo egli ha lasciato un diario che è stato pubblicato, che racconta i fatti avvenuti dal luglio del 1943 quando sembra che la seconda guerra mondiale sia finita, ma con grande delusione di tutti il presidente del governo Badoglio comunica che l’Italia non si ritirerà dal conflitto. Il Barba inizia così il suo grande impegno di patriota: aiuta dei prigionieri inglesi a passare il confine italo-svizzero, raccoglie armi e munizioni e le mette a disposizione dei partigiani nella zona di Varese. Entra a far parte del Comitato militare di Varese e nel suo impegno durante la Resistenza coinvolge anche commercianti, industriali e sacerdoti. Nell’ottobre del 1943 viene arrestato dai nazifascisti e dopo lunghi interrogatori imprigionato prima a Como e poi a Milano nel carcere di San Vittore; superato il periodo più duro, qui riceve l’incarico di distribuire pacchi ai detenuti e questo gli permette di aiutarli trasmettendo i messaggi che loro gli affidano e diffondendo le notizie che filtrano dall’esterno. Nel carcere De Bortoli viene più volte torturato e chiuso nella cella di rigore, ma mai si piega a rivelare le informazioni segrete che gli vengono richieste. In quei terribili momenti la Fede è l’unico suo aiuto. Un giorno con altri prigionieri viene trasferito nel campo dì concentramento di Fossoli in provincia di Modena, dove assiste all’uccisione di settanta partigiani e successivamente viene destinato a un campo di lavoro in Germania, ma durante il viaggio riesce a fuggire e a rientrare in Lombardia. Unitosi ai partigiani dell’Ossola, continua la sua lotta contro i nazifascisti e infine si rifugia in Svizzera per poi fare ritorno in Italia a giugno del 1945. Alcune persone che lo hanno conosciuto nelle loro testimonianze scritte parlano di De Bortoli come un uomo che deve essere ammirato per il suo coraggio, per l’altruismo dimostrato con i suoi compagni di prigionia e per essere stato esempio di pazienza cristiana anche nelle situazioni più difficili.
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