contributo della studentessa Camilla Cavinato
Mario classe 1928 e Flavia classe 1933 sono i miei nonni materni.
Nonno Mario il quinto di dieci figli racconta spesso che la guerra era iniziata quando lui aveva solo 14 anni mentre i fratelli maggiori, che erano partiti per difendere la patria, erano stati catturati e portati nelle prigioni in Germania. Fortunatamente, dopo alcuni mesi di prigionia, sono stati liberati e riportati in Italia in condizioni pessime e sottopeso (avevano perso più di trenta chili). Poco dopo fu chiamato anche il padre a Mestre per scavare una fossa che avrebbe impedito così il passaggio dei carri armati nemici.
Ricorda che i suoi genitori avevano una grande fattoria a Noale in provincia di Venezia, la quale permetteva loro di vivere piuttosto dignitosamente. Avevano galline, oche e mucche che producevano beni come latte e carne. Grazie alla vendita di questi ultimi riuscivano quindi a ricavare dei buoni profitti.
Loro, al passare degli aerei, si nascondevano sempre nei fossi e spesso raccoglievano i bossoli che cadevano dall’alto per poi rivendere il rame in essi contenuto e guadagnare così qualche centesimo.
Nonna Flavia, invece, è quella che riporta con più tristezza i ricordi drammatici di quel periodo. Anche lei figlia di una numerosa famiglia, settima di dieci figli, racconta spesso della paura vissuta al passare di ogni aereo. Abitava in una cascina vicina alla ferrovia “Ostiglia” che attraversava le campagne venete, pertanto costantemente bombardata al passare di ogni treno, in quanto utilizzata dalle truppe dell’esercito come punto strategico di collegamento tra l’Italia e gli stati confinanti. Durante le ore notturne gli aerei chiamati “Pippo” sorvolavano le stazioni, in attesa di vedere piccole luci così da poterle bombardare. I loro genitori infatti raccomandavano di spegnere la luce delle candele per evitare che il bagliore rilasciato della fiamma facesse capire loro dove colpirli.
Durante la notte per non sentire troppo freddo dormivano, almeno in due persone, su letti di paglia con coperte fatte di piuma o pelli dei loro animali e spesso si trovavano in compagnia di topi che correvano sul tetto del loro granaio.
Il ricordo più drammatico che ci racconta spesso con le lacrime agli occhi, l’ha vissuto una domenica mattina all’uscita dalla chiesa del paese. Il papà, appena terminata la Santa Messa si era recato in una macelleria per comprare la testa di una mucca per fare il bollito. Mentre si accingeva a tornare a casa con la borsa della spesa e con in braccio il figlio più piccolo, il pilota di un cacciabombardiere sganciò una bomba vicino alla gente raccolta al centro della piazza. L’ordigno, cadendo al suolo provocò un grande vuoto d’aria, facendo sbalzare la gente ovunque.
Fu una strage per il nostro paese.
Il padre 51enne venne catapultato contro un albero e sbattendo la testa morì sul colpo; il fratellino che era con lui cadde in un fosso, fortunatamente senza riportare gravi danni. Un altro ragazzo del paese fu colpito da una scheggia alla gamba e, amputandogliela, morì dopo due ore dissanguato. Mia nonna, che ai tempi aveva solo 11 anni, visse la tragica perdita del padre proprio sotto i suoi occhi. Una famiglia vicina di casa si prese cura di lei e dei suoi fratelli perché la mamma, incinta del decimo figlio, si sentì male appena appresa la notizia.
Durante la notte, al buio, la salma venne caricata su un carro trainato dai buoi e sepolta in fretta e furia per evitare che i tedeschi li vedessero e li bombardassero nuovamente.
La stessa notte, nonna mi dice di aver fatto un sogno dove rivide il padre vicinissimo a lei… non si capacitava ancora della sua morte così immediata e inaspettata.
Di lì a pochi mesi, un’altra sciagura colpì la famiglia di orfani: alcuni militari tedeschi arrivarono nella loro casa per perquisirla e stanare i figli maschi da portare in guerra. Questi ultimi erano riusciti a nascondersi nel fieno per non farsi prendere e non abbandonare la propria famiglia, nonostante i militari vi infilzavano forche e fucili. All’interno dell’abitazione però, trovarono coperte e indumenti tedeschi portati a casa da uno zio durante la sua permanenza in Germania.
I tedeschi pensarono che stessero nascondendo dei fuggiaschi e così, alle 4:30 di una mattina di primavera, misero tutti i componenti della famiglia in fila per poterli fucilare.
Il panico più totale si scatenò non appena le femmine della famiglia furono minacciate di stupro, in quanto in questo periodo i tedeschi imprigionavano giovani fanciulle a scopi sessuali tagliandogli i capelli a zero con l’aiuto di una motosega: una vera e propria tortura.
La mamma incinta e provata dalla morte del marito si inginocchiò davanti ai militari, pregandoli di non uccidere lei e i suoi figli. Non conosceva la loro lingua ma piangendo e disperandosi si fece capire in qualche modo.
Fu così che i militari le risparmiarono.
Era il 18 marzo 1945 e pochi giorni dopo terminarono i combattimenti e fu dichiarata la fine della Seconda guerra mondiale. Il 25 aprile, durante la proclamazione della liberazione, sfrecciarono in cielo gli arerei tricolore, ma la velocità e il rumore di quegli aerei terrorizzavano ancora tutte le persone. Vi furono cioccolato e caramelle in abbondanza per tutti quei bambini che vissero un’infanzia da dimenticare.
Furono anni duri e il ricordo della morte del papà di nonna Flavia non è mai svanito. Ancora oggi lo racconta con voce tremolante e con le lacrime agli occhi.
Solo chi ha vissuto sulla propria pelle la guerra, sa il vero valore della pace e della libertà.