contributo a cura dello studente Federico Nobili
La famiglia Fontana (i cui membri erano il mio bisnonno Siro, la mia bisnonna Cesira, mia nonna paterna Mara e le sue due sorelle Silvana e Maurizia, ovvero le mie prozie) viveva a Pavia, in prossimità del Ponte Vecchio unico ponte che all’epoca collegava Pavia con i territori che si trovavano sulla sponda opposta del Ticino.
Rispetto ad altre zone di Pavia la zona del Ponte Vecchio fu bombardata molto duramente dai tedeschi proprio per la presenza del ponte che, oltre ad essere un mezzo di collegamento da una sponda all’altra, avrebbe potuto essere un punto d’appoggio strategico per gli alleati.
Per evitare ciò i tedeschi decisero di bombardare a tappeto la zona, distruggendo la maggior parte delle abitazioni vicine compresa quella della famiglia Fontana.
Per miracolo o come lo si voglia chiamare, nessun membro della famiglia fu colpito dal bombardamento tedesco. Questo perché sentendo la sirena suonare, riuscirono a rifugiarsi per tempo all’interno di un rifugio antiaereo.
Una volta uscita dal rifugio la famiglia vide la devastazione causata dal bombardamento e una volta raggiunta la propria casa videro che anch’essa non era sopravvissuta al massacro; quello che una volta era il corridoio pieno di decorazioni che collegava l’ingresso al resto del loro appartamento ora fungeva da facciata dell’abitazione… non era rimasto nient’altro.
Persa la loro casa, in qualità di sfollati (questo è il termine che identifica le persone che hanno perso la casa), mia nonna e la sua famiglia ebbero la fortuna (se cosi la si può chiamare) di essere ospitati da una famiglia benestante di Pavia che risiedeva in piazza Petrarca e che aveva la possibilità di mettere a disposizione della comitiva una stanza.
Un vivo ricordo che accompagnò mia nonna per una buona parte della sua vita era il profumo di bistecca che proveniva dalla cucina della famiglia che li ospitava. Un profumo così vicino ma al contempo così lontano… questo perché ai tempi di guerra ogni genere alimentare tendeva a scarseggiare o a non essere proprio reperibile sugli scaffali dei negozi. Gli unici modi per procurarsi qualcosa da mettere sotto i denti era l’utilizzo delle tessere alimentari distribuite ai cittadini per andare a prendere la propria razione giornaliera di pane e acqua, poiché oltre a quello c’era poco altro.
Chi invece aveva ancora qualche possibilità economica era solito ricorrere alla “Borsa Nera” ovvero il mercato clandestino, dove era possibile reperire a prezzi altissimi generi alimentari tra cui carne, latte, e altre leccornie che al di fuori di questo mercato non era neanche possibile poter immaginare di reperire.
Un altro aiuto che mia nonna, le sue sorelle ed il resto della sua famiglia ricevettero proveniva da i due fratelli della bisnonna materna Cesira, che vivevano al di furi di Pavia in alcuno paesini limitrofi, dove possedevano piccole coltivazioni con le quali potevano pensare di tirare avanti.
Quello che riuscirono a racimolare però, non era sufficiente per vivere. Così la più giovane delle sorelle, Silvana, per riuscire portare a casa qualcosa da mangiare fu costretta a lavorare per i fascisti, come segretaria di un ufficiale del partito.
Ciò durò fino alla fine della guerra, quando il regime fascista cadde definitivamente e arrivò la Liberazione da parte di partigiani e alleati.
La rabbia rimasta nei cuori dei partigiani e di chi aveva combattuto, perso amici e famigliari a causa del regime fascista si rovesciò su chi avesse lavorato volontariamente o meno con i fascisti, ma ciò non importava. Gli uomini che avevano collaborato con i fascisti venivano denudati, derisi, percossi e fatti sfilare per le strade mentre le donne venivano rasate a zero per poi essere esibite per le strade delle città come trofeo.
Il bisnonno Siro, per evitare questa tortura a sua figlia Silvana (che fu costretta a lavorare per i fascisti), temendo e sapendo ciò che i partigiani le avrebbero potuto fare se l’avessero trovata, decise di nasconderla a casa di una sua conoscente fino a quando le cose non si sarebbero calmate.
Dopo svariati mesi la famiglia Fontana fu in grado di riunirsi e poter cominciare a ricostruirsi la propria vita non più a Pavia, loro città natale ma nella grande metropoli: Milano.