Busto Arsizio nella Grande Guerra.
Cenni sull’impegno della città di Busto Arsizio nel corso della Prima guerra mondiale. La Prima guerra mondiale: un conflitto per molti aspetti differente rispetto ai precedenti. Dalle armi chimiche ai sottomarini, dalla propaganda alla mobilitazione generale di donne e bambini impegnati nel lavoro in sostituzione degli uomini, il primo conflitto mondiale è stato un evento effettivamente innovativo nell’ambito della guerra. E l’intera società degli stati coinvolti si attivò a favore dello sforzo bellico. Letteralmente tutti lavoravano per la guerra, dai soldati che combattevano in prima linea nelle trincee, in condizioni di vita estremamente disagevoli e psicologicamente distruttive, ai più giovani impiegati negli opifici, alle donne che intravedono nel conflitto un’occasione di emancipazione. Fin dal 1915 in tutta Italia le varie città cominciarono ad attivarsi per supportare l’amata patria nello sforzo del conflitto. E così anche il comune di Busto Arsizio si attivò al più presto: la guerra nuova, con i suoi meccanismi, giungeva anche qui. Arrivavano le chiamate alle armi per 4500 soldati e la necessità di mobilitare la città. Busto Arsizio al momento dell’ingresso dell’Italia in guerra attraversava un periodo di fiorente sviluppo: le sue industrie erano grandi, produttive e fruttuose, la città veniva abbellita con strutture in stile liberty e completata con ben tre edifici scolastici creati tra il 1903 e il 1911, e le associazioni di beneficenza promuovevano grandi opere sul territorio, come la costruzione del nuovo ospedale. Ed è proprio il generale stato di benessere economico della città ad aver consentito lo svilupparsi di una serie di iniziative a favore dei soldati impegnati al fronte e delle loro famiglie. Il 26 maggio del 1915, a due giorni dall’entrata ufficiale dell’Italia in guerra, il Comitato di assistenza e volontariato civile pubblicava il seguente manifesto: “Concittadini che restate! O voi tutti, nati troppo presto o troppo tardi per misurare sui campi cruenti la devozione e l’amore per la gran Madre comune, stringetevi con noi in un patto di solidarietà civile per costituire la milizia volontaria delle opere di difesa sussidiaria, di previdenza ed assistenza sanitaria, di integrazione dei pubblici servizi, di sussidi economici alle famiglie dei nostri soldati. Facciamo tutti un austero atto di disciplina e di fede per dare, concordi, pensiero, volontà ed azione alle necessità della patria. Donne bustesi! Vi chiamo a raccolta le voci più calde del cuore, il vostro largo senso di carità, il vostro sincero spirito di sacrificio. Date alle madri, alle spose, ai bambini, alle sorelle dei nostri soldati tutta la vostra bontà, tutta la vostra pietà, tutto il vostro soccorso! In alto i cuori! Già i nostri soldati nella marcia vittoriosa abbracciano sulle terre redente gli aspettanti fratelli d’Italia! Sia sempre vicino a loro tutto il nostro ardente pensiero, fatto di gratitudine ed amore, e solennemente promettiamo che sapremo assistere con tutte le forze della nostra commossa solidarietà le loro famiglie”. La popolazione di Busto viene dunque chiamata a svolgere la propria parte: si consolida così il Comitato di assistenza che con l’amministrazione comunale avvia un’intensa opera di supporto alle famiglie dei richiamati con la preziosa collaborazione delle industrie di Busto che si erano impegnate nel dare la metà dello stipendio dei richiamati alle corrispettive famiglie. Successivamente le varie iniziative vengono coordinate in un unico organismo che aveva il compito di raccogliere fondi, spedire pacchi al fronte, confezionare indumenti e supportare le famiglie dei richiamati secondo i bisogni. La raccolta fondi fruttò ben 400000 lire le quali servirono per l’apertura dell’Ospedale dei feriti, dei nidi per i bambini e per la distribuzione dei vestiti e dei sussidi. I primi feriti di guerra arrivarono a Busto Arsizio il 15 settembre del 1915 ed erano ben 400; questi furono tuttavia soltanto i primi poiché l’ospedale dei feriti di Busto ne ospitò in totale circa 4000: questi soldati erano accuditi dalle Infermiere Volontarie della Croce Rossa cittadina e vennero ospitati presso il vecchio ospedale, Palazzo Gilardoni, attualmente sede del Comune. Questi soldati provenivano certamente da varie regioni italiane, come testimoniato dal santino rinvenuto nella tasca della divisa di un soldato salernitano ferito in guerra e accudito a Busto Arsizio, oggi conservato presso l’aula di storia delle scuole medie Bossi, ma non è nota la presenzia di un registro che permetta di rintracciarne i nomi e le provenienze specifiche. Tutto ciò fu possibile grazie ai fondi che vennero raccolti durante le diverse campagne, in larga parte erogati dagli industriali della città. L’ospedale per i feriti costò 33827,05 lire, i sussidi che furono rilasciati raggiunsero un totale di 15327,21 lire, 10636,51 per gli indumenti, circa 2000 lire per i vari asili nido (costruiti nei quartieri Sant’Anna e San Michele) e il restante per i pacchi dono destinati ai soldati impegnati al fronte (che in occasione delle feste contenevano torroni, cioccolata, caramelle, panettoni, coppette, cartoline). Ma Busto non si fermò qui: si distinsero per disponibilità in particolare le donne che continuarono a supportare la patria, da chi diventava volontaria d’ospedale assicurando assistenza sanitaria e psicologica ai feriti, a chi accudiva i figli dei richiamati nei nidi, dalle donne che scrivevano lettere per i soldati facendo da interpreti per le famiglie a chi cuciva sciarpe, passamontagna, guanti, calze e vari altri indumenti da mandare al fronte. Persino i più giovani decisero di dare una mano, creando la sezione bustese dei Giovani esploratori italiani, i quali svolgevano compiti al fine di aiutare la patria e i soldati al fronte: facevano la guardia all’Ospedale militare e vendevano in città piccoli oggetti per raccogliere fondi. Purtroppo nel Natale del 1915 i cittadini di Busto, così come tutti gli italiani, cominciarono a realizzare che la guerra che stavano vivendo non era per niente una “guerra lampo”, anzi, si stava trasformando in una logorante guerra di posizione nella quale diversi soldati originari della città avevano già perso la vita o erano detenuti come prigionieri in Austria: a tal proposito venne avviata una nuova iniziativa che consisteva nell’invio del pane ai prigionieri di guerra. Erano invece i sacerdoti delle parrocchie cittadine ad assumersi la responsabilità di comunicare alle famiglie notizie relative ai caduti
Documento n.91
NOME PROPRIETARIO Leonardo MagniDATA REPERTO 1943TIPOLOGIA REPERTO Fotografia di archivio privato.DESCRIZIONE REPERTO Due Alpini del 34esimo Battaglione in posa prima di una ricognizione nei pressi del passo del Frejus. A sinistra Anselmo Magni, nonno dello studente Leonardo Magni della classe 5° A Istituto Professionale.
Documento n.90
NOME PROPRIETARIO Leonardo MagniDATA REPERTO 1943TIPOLOGIA REPERTO Fotografia di archivio privato.DESCRIZIONE REPERTO Un gruppo di Alpini del 34esimo Battaglione in una ricognizione nei pressi del passo del Frejus. Tra loro, primo a destra, Anselmo Magni, nonno dello studente Leonardo Magni della classe 5° A Istituto Professionale.
Documento n.89
NOME PROPRIETARIO Leonardo MagniDATA REPERTO 1943TIPOLOGIA REPERTO Fotografia di archivio privato.DESCRIZIONE REPERTO Un gruppo di Alpini del 34esimo Battaglione in una ricognizione nei pressi del passo del Frejus. Tra loro, al centro, Anselmo Magni, nonno dello studente Leonardo Magni della classe 5° A Istituto Professionale.
Documento n.88
NOME PROPRIETARIO Leonardo MagniDATA REPERTO 1943TIPOLOGIA REPERTO Fotografia di archivio privato.DESCRIZIONE REPERTO Il comando del 34esimo Battaglione Alpini presso il quale ha prestato servizio Anselmo Magni (Alpino sciatore ricognitore), nonno dello studente Leonardo Magni della classe 5° A Istituto Professionale.
Documento n.87
NOME PROPRIETARIO Leonardo MagniDATA REPERTO 1943TIPOLOGIA REPERTO Fotografia di archivio privato.DESCRIZIONE REPERTO Un gruppo di alpini sciatori ricognitori in un momento di pausa dalle loro attività nei pressi del passo del Frejus. Il secondo da sinistra è Anselmo Magni, nonno dello studente Leonardo Magni della classe 5° A Istituto Professionale.
Anselmo Magni, un alpino nella seconda guerra mondiale
NOME PROPRIETARIO Leonardo MagniDATA REPERTO 1943TIPOLOGIA REPERTO Fotografia di archivio privato.DESCRIZIONE REPERTO Alpini sciatori ricognitori nei pressi del passo del Frejus. Al centro della prima immagine e nelle seguenti, Anselmo Magni, nonno dello studente Leonardo Magni della classe 5° A Istituto Professionale.
Documento n.85
NOME PROPRIETARIO Leonardo MagniDATA REPERTO 1943TIPOLOGIA REPERTO Fotografia di archivio privato.DESCRIZIONE REPERTO Gli alpini sciatori ricognitori Toeschi Giulio (a sinistra) e Anselmo Magni (a destra) fotografati nei pressi del passo del Frejus negli anni della guerra: conosciutisi sotto le armi, i due sono rimasti amici per tutta la vita.
Documento n.84
NOME PROPRIETARIO Leonardo MagniDATA REPERTO 1941TIPOLOGIA REPERTO Fotografia di archivio privato.DESCRIZIONE REPERTO Quattro alpini sciatori ricognitori nei pressi del passo del Frejus fanno rifornimento d’acqua per i muli e per il battaglione; tra loro anche Anselmo Magni di Busto Arsizio, nonno dello studente Leonardo Magni della classe 5° A Istituto Professionale.
Documento n.83
NOME PROPRIETARIO Leonardo MagniDATA REPERTO 1942TIPOLOGIA REPERTO Fotografia di archivio privato.DESCRIZIONE REPERTO Quattro alpini sciatori ricognitori nei pressi del Frejus; il secondo da destra è Anselmo Magni, di Busto Arsizio, nonno dello studente Leonardo Magni della classe 5° A Istituto Professionale.